Domenica 20 gennaio 2013 - Sono a scuola, in un edificio antico e un po' diroccato. Le classi sono ricavate in ogni spazio, anche nei corridoi. Per passare da una stanza all'altra bisogna scavalcare i banchi. Informatica, elettronica, chimica, matematica...tutti i banchi sono messi addossati l'uno all'altro, con gli strumenti in equilibrio precario. Io sono nella classe di flamenco. E' una stanza enorme, con il camino acceso e bellissimi arazzi appesi alle pareti. Il pavimento in legno antico risuona forte e perfetto, senza cedimenti, sotto i nostri tacchi. Balliamo fluide, la stanza è veramente grande e libera, abbiamo tutto lo spazio. Le finestre aperte fanno uscire le note della nostra musica. E' estate.
Ci muoviamo come un solo corpo, ma ognuna ha il suo modo peculiare di esprimersi attraverso la danza. Finisce la lezione, alcune ragazze si cambiano, io esco direttamente così, devo seguire Lucia che sono venuta con lei. Usciamo dalla finestra, scavalcandola e inizio a camminarle dietro. Dice che ha parcheggiato al porto, siamo ad Alghero, e taglia giù passando per il giardino fatto a gradoni. C'è tantissimo dislivello tra un gradone e l'altro. Il passaggio che sta facendo è composto da cubi di porfido di circa 40 centimetri di lato, incassati nella terra del prato. A volte tra un cubo e l'altro c'è più di un metro e sono quasi allineati verticalmente. Ho paura di cadere e rallento. Quando finalmente riesco a scavalcare la recinzione mi trovo nella strada del porto ma di Lucia non c'è più traccia. Inizio a camminare lungo la via principale, porta fino in centro, cercandola con lo sguardo. Fa caldo e sollevo la gonna lunga e nera, i tacchi e le punte delle mie scarpe sono tutti cosparsi di chiodini martellati nella suola, ad ogni passo faccio un rumore metallico sulle lastre di basalto. Tac, tac...passo attraverso la gente e i turisti con incedere felino e fiero. Arrivo fino in cima ma Lucia non c'è. Ritorno indietro seguendo un'altra strada finché, quasi arrivata di nuovo al porto, vedo i suoi capelli biondi. Mi aspettava sulla sua barca. Ecco perché non l'avevo vista, credevo fosse in macchina. La barca è in effetti la conchiglia vuota di una piscina per giardino. Mi spiega che sotto ci sono dodici sassi che la tengono a galla. Mentre mi aspettava ha dovuto svuotarla dall'acqua che era entrata per via di un onda un po' più alta del normale. Mentre mi arrovello su come i dodici sassi possano tenere a galla la piscina, il sogno si inonda di luce bianca e caldissima, tutto sfuoca e io sono l'unico elemento visibile vestita di nero. Mi sveglio.
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